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Riconoscere le espressioni emotive: uno studio scientifico

Il 2 febbraio 2024 sul Corriere della Sera è stato pubblicato un articolo dal titolo “Le emozioni si comprendono meglio «indossando» l’espressione del volto altrui” di Ruggiero Corcella (leggi l’articolo qui). L’articolo cita uno studio scientifico pubblicato su «Emotion» condotto dalla professoressa Paola Sessa e dalla dott.ssa Arianna Schiano Lomoriello del Dipartimento di Psicologia dello Sviluppo e della Socializzazione e del Padova Neuroscience Center dell’Università di Padova, in collaborazione con il professor Pier Francesco Ferrari, direttore dell’Istituto di Scienze Cognitive Marc Jeannerod a Lione e docente dell’Università di Parma.

Cosa significa “indossare” l’espressione del volto altrui?

Gli studi scientifici mostrano come la visione di una espressione facciale attivi nel volto dell’osservatore gli stessi muscoli facciali che replicano quella stessa espressione. Questa “attivazione” muscolare è inconsapevole e completamente impercettibile ma sembra giocare un ruolo molto importante nel riconoscimento di una certa espressione facciale. Questo meccanismo è noto con il nome di “simulazione sensorimotoria”.

Semplificando ulteriormente il concetto, potremmo dire che tutte le volte che abbiamo visto una faccia felice e sorridente, i nostri muscoli del sorriso si sono attivati ma senza produrre alcun movimento visibile. Grazie a questa attivazione è come se si immagazzinassero una grande quantità di informazioni sull’espressione della felicità, che ci permettono poi di riconoscere la felicità sulla faccia degli altri.

Lo studio

Lo studio ha coinvolto un gruppo di partecipanti affetti dalla sindrome di Moebius, una patologia rara che determina una paralisi dei muscoli facciali fin dalla nascita. Grazie ai partecipanti è stato possibile esaminare come cambia la percezione e la comprensione delle emozioni, nel momento in cui non vi è attivazione muscolare e nemmeno attivazione dei circuiti neurali legati alla produzione di una particolare espressione facciale.

La ricerca ha evidenziato come i partecipanti affetti dalla sindrome di Moebius, rispetto alle persone con una mimica facciale completa, percepiscano come meno intense le emozioni primarie (tristezza, paura rabbia e disgusto). Questi individui hanno comunque competenze sociali adeguate: questo è probabilmente dovuto al fatto che il loro cervello si riorganizza mettendo in atto dei circuiti neurali alternativi che compensano la non integrità dei circuiti classici.

Queste ricerche possono trasformare la riabilitazione delle paralisi facciali

Dal 2022 ho l’onore di far parte del gruppo di ricerca coordinato dalla professoressa Paola Sessa. Il gruppo è attualmente coinvolto in uno studio in collaborazione con l’Università di Parma in cui si studiano tutti i meccanismi neurali appena descritti, mettendo a confronto i pazienti con paralisi facciale congenita con quelli con una paralisi facciale transitoria.  All’interno dello studio mi sto occupo della valutazione funzionale dei muscoli della faccia per documentare l’entità della paralisi facciale.

Un risvolto pratico di questa linea di Ricerca potrebbe essere quello di comprendere come sfruttare i meccanismi della plasticità cerebrale per arricchire il trattamento riabilitativo delle paralisi facciali (congenite o acquisite) lavorando in modo mirato sull’espressività emotiva.